1647 - I nomi della Luna
Alle soglie degli anni trenta del XVII secolo prese corpo un secondo e più ambizioso progetto di tipo cartografico che "mirava a tracciare le caratteristiche della Luna con l’accuratezza bidimensionale necessaria per utilizzare le mappe durante le eclissi lunari per la determinazione delle longitudini". Tra i principali protagonisti del programma scientifico mirato a utilizzare la selenografia come strumento per la determinazione della longitudine vi è certamente Johannes Hevelius, ricco birraio di Danzica.
Nel 1639 dopo aver seguito l’eclisse di Sole del 1° giugno, Hevelius decise di dedicarsi allo studio della Luna per realizzare una mappa selenografica. Incoraggiato dall’astronomo di Parigi, Hevelius allargò il piano originale e, invece di limitarsi a eseguire una mappa della Luna piena, disegnò tutte le sue fasi. Alla fine, il lavoro che immaginava di concludere in pochi mesi gli costò cinque anni di laboriosa e paziente veglia. Per non avere preoccupazioni materiali affidò alla moglie Katharina Rebeschke il compito di occuparsi degli affari di casa e, soprattutto, del birrificio. Hevelius, rapito completamente dalla sua Selenographia, di notte osservava e realizzava i disegni della superficie lunare e la mattina seguente li incideva su rame. Le lastre così ottenute produssero un risultato eccellente che l’incisione ad acquaforte, più rapida, non avrebbe potuto garantire. Nel 1647, finalmente, egli poté stampare a proprie spese questa importante opera intitolata: Iohannis Hevelii, Selenographia: sive Lunæ Descriptio. Egli aveva riscontrato una certa somiglianza delle macchie chiare e scure lunari con la topografia del Mediterraneo orientale fino al Mar Nero e decise, quindi, di proiettare la geografia terrestre sulla Luna, assegnando alle caratteristiche lunari il nome delle regioni terrestri più somiglianti per forma o posizione. Una mancanza che balza agli occhi è l’esclusione che il luterano Hevelius fece di Roma, epicentro del cattolicesimo, pur essendoci la Sicilia, gli Appenini e il mare Adriatico.
La nomenclatura di Hevelius si diffuse rapidamente nel mondo luterano e protestante, ma pochi anni più tardi un’altra monumentale opera fu data alle stampe, l’Almagestum novum dell’astronomo gesuita estense Giovan Battista Riccioli. L’opera aveva lo scopo "di aiutare i suoi confratelli a procurarsi il materiale che essi non potevano facilmente trovare per farsi un’idea propria in merito al copernicanesimo e ai problemi cosmologici del suo tempo". L’Almagestum rappresentava infatti una sorta di enciclopedia, che Riccioli chiamava “biblioteca”, in grado di presentare per ogni questione astronomica le posizioni e le soluzioni proposte da tutti gli astronomi antichi e contemporanei. L’opera contiene anche due mappe lunari, realizzate dal confratello e discepolo Francesco Maria Grimaldi, una muta e una seconda che, illustrando anche il fenomeno della librazione, adotta il criterio di nomenclatura proposto da Riccioli. Per le loro osservazioni Grimaldi e Riccioli utilizzarono cannocchiali di Galileo, Evangelista Torricelli (1608-1647), Fontana e Carlo Antonio Manzini (1599-1677), ma soprattutto un telescopio acquistato da un “artefice bavarese”, quasi certamente Johann Wiesel (1583-1662). Oltre a permettere di vedere l’intero disco lunare all’apogeo, il telescopio tedesco aveva un’ottima risoluzione spaziale che consentiva di svelare maggiori dettagli di quanto non facessero gli altri cannocchiali. A differenza dall’astronomo polacco, Riccioli non seguì la toponomastica terrestre ma propose una nomenclatura che rendeva omaggio a sapienti antichi e moderni legati al mondo astronomico. Riccioli divise il disco lunare in otto settori e, seguendo il senso orario a partire dalla linea del “Nodus orientalis”, posizionò nel primo e nel secondo ottante gli astronomi-filosofi dell’antica Grecia, come Aristarco, Eratostene e Archimede; nel terzo e nel quarto gli studiosi di cultura latina, tra cui Seneca, Manilio e Plinio, e così via fino a collocare gli scienziati a lui contemporanei nel settimo e nell’ottavo spicchio. Il criterio di Riccioli s’impose gradualmente, sia perché era facile da estendere alle nuove strutture che successivamente si sarebbero potute identificare sulla superficie lunare, sia forse per una certa dose di autocompiacimento negli astronomi che intravedevano la possibilità di scolpire, a imperitura memoria, il proprio nome sulle mappe della Luna.